"Gli effetti della musica e della danza sono più o meno profondi in proporzione alla misura in cui coloro su cui esse agiscono sono più o meno inclini al movimento; fanno divampare il fuoco che è assopito nel cuore, a prescindere dal fatto che si tratti di un fuoco sensuale, oppure divino e spirituale"
Abu Hamid al-Ghazali
Abu Hamid al-Ghazali
Musica e danza nella giurisprudenza islamica
estratto da "Danza Araba Medievale"
di Marialuisa Sales; edizioni Akkuaria, Catania, 2006
Il Sufi e teologo Abu Hamid Muhammad at-Tusi al-Ghazali (1058-1111) è una delle massime autorità dell’Islam sunnita di tutti i tempi, al punto che gli viene attribuito in esclusiva il titolo onorifico di Garante dell’Islam (Hujjat al-Islam). Mentre è comune che alcuni sapienti musulmani costituiscano delle autorità indiscusse nel loro specifico ambito di competenza, il caso di al-Ghazali è alquanto raro, in quanto la sua autorevolezza si estende ad ambiti molteplici. Per quanto attiene al diritto, in seno alla scuola sciafeita1 al-Ghazali è considerato secondo soltanto al suo fondatore as-Shafi‘i, mentre nell’ambito della teologia speculativa (kalam) rappresenta uno dei massimi esponenti della scuola ash‘arita.2 Nell’ambito del Sufismo è poi considerato un “Polo del Tempo” (Qutb az-Zaman), cioè l’iniziato di rango più elevato che sia vissuto in una determinato periodo.
di Marialuisa Sales; edizioni Akkuaria, Catania, 2006
Il Sufi e teologo Abu Hamid Muhammad at-Tusi al-Ghazali (1058-1111) è una delle massime autorità dell’Islam sunnita di tutti i tempi, al punto che gli viene attribuito in esclusiva il titolo onorifico di Garante dell’Islam (Hujjat al-Islam). Mentre è comune che alcuni sapienti musulmani costituiscano delle autorità indiscusse nel loro specifico ambito di competenza, il caso di al-Ghazali è alquanto raro, in quanto la sua autorevolezza si estende ad ambiti molteplici. Per quanto attiene al diritto, in seno alla scuola sciafeita1 al-Ghazali è considerato secondo soltanto al suo fondatore as-Shafi‘i, mentre nell’ambito della teologia speculativa (kalam) rappresenta uno dei massimi esponenti della scuola ash‘arita.2 Nell’ambito del Sufismo è poi considerato un “Polo del Tempo” (Qutb az-Zaman), cioè l’iniziato di rango più elevato che sia vissuto in una determinato periodo.
La
produzione letteraria di al-Ghazali è molto
vasta ed estesa a numerose discipline. La sua
opera principale è Ihya’ ‘ulum ad-Din
(La revivificazione delle scienze religiose),
una summa in più volumi che è considerata una
vera e propria enciclopedia delle scienze
islamiche. Di quest’opera al-Ghazali stesso
compose due compendi sintetici, l’uno in arabo,
intitolato Al-arba‘in fi usul ad-Din (I
quaranta principi della religione), e l’altro in
persiano, denominato Kimiya-e Sa‘adah (L’alchimia
della felicità). Da quest’ultimo ci sembra
opportuno citare alcuni brani del Capitolo
intitolato “Circa il ruolo della musica e della
danza come sostegni della pratica spirituale”.3
A nostro avviso essi consentono di sfatare
l’assunto in base al quale i giuristi islamici
sarebbero pregiudizievolmente contrari tanto
all’uso degli strumenti musicali che alla
pratica coreutica.
“L’Altissimo – scrive al-Ghazali – ha
strutturato il cuore dell’uomo in modo tale che
esso contenga un fuoco nascosto che viene
ridestato dalla musica e dall’armonia, e che è
in grado di condurre l’uomo di là da se stesso,
nell’estasi. Queste armonie sono echi di quel
mondo superiore di bellezza che chiamiamo ‘mondo
degli spiriti’. Esse ricordano all’uomo la sua
relazione con quel mondo, e producono in lui
un’emozione tanto profonda e tanto strana che
egli stesso non è in grado di spiegarla. Gli
effetti della musica e della danza sono più o
meno profondi in proporzione alla misura in cui
coloro su cui esse agiscono sono più o meno
inclini al movimento; fanno divampare il fuoco
che è assopito nel cuore, a prescindere dal
fatto che si tratti di un fuoco sensuale, oppure
divino e spirituale […].
“In
conseguenza di ciò vi sono state numerose
dispute fra i teologi circa la liceità della
musica e della danza dal punto di vista
religioso [...].
“In
questa sede ci limiteremo ad affermare che la
musica e la danza non instillano nel cuore
qualcosa di esterno, ma si limitano a far
divampare emozioni che – pur se assopite – sono
già presenti in esso. Perciò, se un uomo ha nel
cuore quell’amore di Dio che è prescritto dalla
legge, è perfettamente lecito, anzi e meritorio,
che egli si dedichi a quelle attività che
contribuiscono ad incrementarlo. Al contrario,
se ha il cuore pieno di desideri dominati dai
sensi, la musica e la danza non faranno che
incrementarli, e nel suo caso sono pertanto
proibite. Quanto a colui che ascolta la musica o
assiste alla danza a scopo di mero
intrattenimento, nel suo caso musica e danza non
sono né lecite né proibite, ma semplicemente
indifferenti. Il fatto che esse producano
piacere non è in quanto tale sufficiente a
renderle proibite. Ascoltare il canto degli
uccelli, contemplare l’erba verde o un ruscello
che scorre sono anche esse attività che
producono piacere, ma nessuno si e mai sognato
di definirle come proibite […].
“Coloro
che negano la realtà delle estasi e delle altre
esperienze spirituali dei Sufi non fanno che
dimostrare la loro ristrettezza di vedute. Va
comunque riconosciuta loro una qualche
attenuante, in quanto e difficile credere
all’esistenza di stati che non si siano
sperimentati in prima persona, così come per un
cieco è difficile comprendere che contemplare
l’erba verde o un ruscello che scorre sia
piacevole, o per un fanciullo e difficile
comprendere il piacere di governare. L’uomo
saggio però, pur non avendo esperienza di quegli
stati in prima persona, si guarderà bene dal
negare la loro realtà. Quale follia potrebbe
essere maggiore del negare la realtà di una cosa
per il solo fatto di non averla sperimentata?”
Se
dunque al-Ghazali ritiene che la musica e la
danza debbano rispettivamente ritenersi proficue
o deleterie a seconda dello stato d’animo che
ingenerano nel pubblico, alcuni giuristi
posteriori di scuola hanbalita, come Ibn
al-Jawzi (1116-1201) e Ibn Taymiyyah (1263-1328)
sono talmente avversi alla danza da condannarla
in toto, talvolta ricorrendo ad argomentazioni
di natura sofistica e capziosa.
‘Abd al-Rahman ibn al-Jawzi al-Baghdadi era un letteralista animato da un forte ostilità verso i Sufi in generale e verso al-Ghazali in particolare, tanto da scrivere contro di lui un intero trattato, intitolato I‘lam al-Ahya’ bi-aghlat al-Ihya’ (Notificazione agli esseri viventi degli errori contenuti nel Ihya’). Non deve dunque sorprendere che egli condanni non solo ogni tipo di danza, inclusa quella dei Sufi, ma persino ogni genere di canto, compresa la qasidah, cioè l’inno d’argomento religioso.
‘Abd al-Rahman ibn al-Jawzi al-Baghdadi era un letteralista animato da un forte ostilità verso i Sufi in generale e verso al-Ghazali in particolare, tanto da scrivere contro di lui un intero trattato, intitolato I‘lam al-Ahya’ bi-aghlat al-Ihya’ (Notificazione agli esseri viventi degli errori contenuti nel Ihya’). Non deve dunque sorprendere che egli condanni non solo ogni tipo di danza, inclusa quella dei Sufi, ma persino ogni genere di canto, compresa la qasidah, cioè l’inno d’argomento religioso.
In
Talbis Iblis (La tentazione di
Lucifero) Ibn al-Jawzi afferma:
“L’audizione musicale e la danza hanno due
difetti: innanzitutto distolgono il cuore dalla
consapevolezza della potenza di Dio Altissimo, e
dall’altro incoraggiano i piaceri di questo
mondo ed incitano a dare libero sfogo alle
passioni dei sensi, fra le quali la principale e
lo stimolo al congiungimento sessuale […]. Vi è
dunque un rapporto fra la musica e l’adulterio:
la musica è un piacere per lo spirito, cosi come
l’adulterio è il più grande dei piaceri per
l’anima concupiscente […]. Per questo i giuristi
a me vicini sostengono che musicisti e danzatori
non siano persone rispettabili, e
conseguentemente ritengono che la loro
testimonianza non abbia valore in giudizio […].
La musica fa infatti perdere all’uomo il senso
della misura e l’uso della ragione e […] causa
comportamenti simili a quelli indotti dal vino,
in quanto inebria lo spirito. Per questo
riteniamo vada proibita.”4
Prosegue biasimando i Sufi e la loro danza:
“Quando
l’eccitazione dei Sufi nella danza diviene più
intensa, uno di loro esorta chi gli è seduto
vicino ad alzarsi assieme a lui. Secondo la loro
regola, chi riceve l’invito non può rifiutare
d’alzarsi. Quando il primo si alza, gli altri si
alzano con lui. Se uno di loro si scopre la
testa, lo fanno anche gli altri […] e con
cerimonie di questo genere suppongono di rendere
culto a Dio e di mostrarsi a Lui sottomessi.
Quando poi la loro eccitazione e divenuta più
intensa, gettano le loro vesti ai musicisti.
Talvolta le gettano intere, talaltra dopo averle
lacerate”.5
La
stessa ostilità preconcetta nei confronti della
musica e della danza e dimostrata da Taqi al-Din
Abu ‘Abbas Ahmad ibn Taymiyyah al-Harrani, colui
che a ragione e considerato il precursore dei
movimenti integralisti contemporanei. Pur di
condannare la danza, Ibn Taymiyyah non trova
nulla di sconveniente nel ricorrere ad
un’interpretazione quanto mai capziosa dello
stesso Corano.
Il
verso 37 della Surah del Viaggio Notturno (XVII)
prescrive infatti: “Wa la tamshi fi al-ardi
maraha,” cioe “Non camminare sulla terra con
fare insolente”. Appare evidente come il verso
in questione di per sé non prescriva nulla di
relativo alla danza, ma si limiti a proibire la
vanagloria e la superbia di chi cammina
ostentatamente. Ibn Taymiyyah pretende però di
leggere in ciò una condanna della danza e –
sulle tracce di Ibn al-Jawzi – spiega che “la
danza è qualcosa di attinente a questo genere di
superbia”. Questo modo di argomentare,
consistente nel forzare le fonti giuridiche pur
di dimostrare una tesi preconcetta, era tipico
di Ibn Taymiyyah e fu anzi una delle ragioni che
portarono alla sua condanna al carcere a vita
per eresia da parte dell’emiro di Damasco Ibn
Qalawun. Non è certo un caso che, mentre dopo la
sua morte al-Ghazali divenne un’autorità
giuridica indiscussa per tutto il mondo
islamico, Ibn al-Jawzi fu invece emarginato per
via del suo pedante letteralismo, mentre Ibn
Taymiyyah fu addirittura incarcerato da chi
paventava il diffondersi del suo estremismo. E’
del pari sintomatico che, mentre l’estimatore
della musica e della danza al- Ghazali portò il
Sufismo a vette insuperabili di formulazione
dottrinale, il suo denigratore Ibn al-Jawzi lo
rigettò completamente, mentre Ibn Taymiyyah,
oltre a condannare la musica e la danza,
sviluppò sterili polemiche contro l’opera del
più grande fra i Maestri Sufi di tutti i tempi,
quel Muhi ad-Din Ibn al-‘Arabi che fu l’erede di
al-Ghazali nel rango di “Polo del Tempo”. Questo
dissidio fra una lettera spirituale ed una
integralista della dottrina islamica è di fatto
giunta sino ai giorni nostri, tanto che i
fondamentalisti contemporanei, cioè i Wahhabiti
e gli Ikhwanidi, vedono in Ibn Taymiyyah uno dei
loro capiscuola, ed avversano fieramente tanto
al-Ghazali quanto Ibn al-‘Arabi. L’eredità di
questi due autori seguita dunque ad essere
connessa alla speranza della rinascita delle
potenzialità culturali, estetiche ed artistiche
del mondo islamico, mentre quella di Ibn
Taymiyyah e dei suoi epigoni continua a svilire
le dimensioni più profonde dell’Islam e ad
additare il sentiero della decadenza,
dell’intolleranza e dell’oscurantismo.
Note
1) La
giurisprudenza sunnita è ripartita in quattro
scuole distinte, fondate da Abu Hanifah Nu‘man
ibn Thabit (m. 767), Malik ibn Hasan (m. 795),
Muhammad ibn Idris as-Shafi‘i (m. 820) e Ahmad
ibn Hanbal (m. 855), e chiamate – dal nome dei
rispettivi fondatori – hanafita, malichita,sciafeita
e hanbalita. La scuola hanafita attribuisce un
ruolo di rilievo alla deduzione analogica (qiyyas)
dalle fonti giuridiche, mentre quella malichita
fa prevalere il comportamento (‘amal)
degli abitanti di Medina all’epoca del Profeta
come modello primario di riferimento. La scuola
sciafeita tende a mediare fra i principi delle
due scuole che la precedono,e a porre in risalto
il ruolo della tradizione orale (hadith).
La scuola hanbalita invece limita al massimo il
ricorso all’analogia giuridica, ed attribuisce
alla stessa tradizione orale una funzione
assolutamente preponderante.
2) Nel mondo islamico la
teologia speculativa (kalam) fu
originariamente introdotta non dai
rappresentanti dell’ortodossia sunnita, ma dai
Mu‘taliziliti, il cui nome significa appunto
“secessionisti”. Anche in ragione della
protezione offerta alla scuola mu‘tazilita da
alcuni califfi abbasidi, i Sunniti ritennero
necessario scendere sullo stesso terreno
dialettico dei loro avversari, dando cosi
origine a due scuole teologiche, quella
asciarita, fondata da Abu al-Hasan al-Ash‘ari
(m. 935), e quella maturidita, fondata da Abu
Mansur al-Maturidi (m. 945), molto simili fra
loro principi basilari e separate soltanto da
alcune questioni secondarie. Col trascorrere dei
secoli, si stabilizzo una consuetudine in base
alla quale i giuristi hanafiti sono maturiditi
in teologia, mentre quelli malichiti e sciafeiti
sono asciariti. I giuristi hanbaliti, dal canto
loro, in genere preferiscono evitare di
occuparsi di teologia speculativa, cosi come del
resto facevano i giuristi delle altre scuole
prima della diffusione del mu‘tazilismo.
3) AL-GHAZALI, Abu Hamid, The
Alchemy of Happiness (Kimiya’e Saadat),
a cura di FIELD, Claud, London, 1910, ristampa
in formato
elettronico. Chi volesse confrontare il
contenuto del capitolo con i brani
corrispondenti del Ihya’ puo leggere AL-GHAZALI,
Abu Hamid, Il concerto mistico e l’estasi, Il
Leone Verde, Torino,1999.
4) IBN AL-JAWZI AL-BAGHDADI,
Talbis Iblis, citato da MOLÉ, Marijan,
Les danses sacrées en Islam, Éditions du Seuil,1963.
5)
Ibidem.